1 - LA FONDAZIONE DI SIENA
opo che
Romolo,
fondatore e primo re di Roma, ebbe ucciso suo
fratello Remo, stabilì di uccidere anche i due figli
di questi, Senio e
Aschio, al fine di
togliere di mezzo dei possibili pretendenti al trono.
Il dio Apollo fornì ai due giovani due cavalli, uno
bianco ed un nero, sui quali essi fuggirono
nottetempo, portando con loro una lupa marmorea
rubata a Romolo.
Dopo alcuni giorni di cammino, i due fratelli giunsero sulle
rive di un piccolo corso d'acqua, la Tressa, e qui incontrano
alcuni mandriani e boscaioli. In quel luogo eressero un
accampamento e in breve, per il loro rango e la loro maestria
nelle armi, divennero i capi di quella piccola comunità.
Successivamente essi costruirono un fortilizio sulla collina
più alta.
Romolo nel frattempo inviò due condottieri,
Camelio e
Montorio, per catturare i due fratelli e trascinarli a
Roma. I due generali costruirono a loro volta altri due forti
nelle vicinanze di quello costruito dai nipoti di
Remo. Tra i
gruppi si accesero vari scontri, dopo i quali si aggiunse
finalmente ad una tregua.
Ma,
in seguito, fra gli abitanti originari della zona e i Romani
ricominciarono le contese. Roma inviò così gli ambasciatori
Pirro e Flaminio che riportarono la pace e fecero sì che le
due comunità si fondessero in una.
Per festeggiare l'evento si tributarono
sacrifici ad Apollo e
Diana. Dall'altare
di
Apollo
si alzò un fumo nero mentre dall'ara di
Diana
si levò un fumo
bianco.
Il fortilizio che
Senio e
Aschio
costruirono in cima alla collina è oggi Castelvecchio, la
parte più antica di Siena. Le fortezze erette da
Camelio e
Montorio
corrispondono alle odierne Camollia e Camporegio.
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Bottino nel sottosuolo senese. |
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Duccio Balestracci:
I bottini, acquedotti medievali senesi,
Siena 1987. |
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2 - LA DIANA
iena, come si sa, non è bagnata da
alcun fiume. La penuria d'acqua ha costretto i suoi
abitanti a scavare nella roccia, fin dai tempi
antichi, un'estesa rete di acquedotti sotterranei, i
«bottini», per
portare acqua alle case. Ma in alcune parti della
città si udiva spesso, quando c'era silenzio, il
rumore dello scorrere dell'acqua, tipico di un fiume,
di un grande fiume. Un fiume sotterraneo, la
Diana, più volte cercato
e mai trovato.
Si udiva
questa voce continua, che illudeva i senesi di poter avere
l'acqua per le case e per le botteghe, senza troppa fatica. Si
scavarono pozzi su pozzi e si consultarono astrologi, per
trovare l'ubicazione di questo fiume. Fu il governo stesso di
Siena a sobbarcarsi gli oneri di tale ricerca. Per circa due
secoli, si cercò la Diana, ma
invano. Nessuno l'ha mai trovata.
La fama di
questa ricerca senza risultato giunse fino a Dante, che la
riportò nel Purgatorio.
E la
Diana - ammesso che esista -
rimase un mistero, un segreto custodito dalla terra,
un'affascinante una leggenda.
Adesso
l'acqua arriva a Siena senza problemi, un moderno acquedotto
ha soppiantato da pochi decenni l'antico acquedotto
sotterraneo, che, però, è ancora funzionante e rifornisce
tuttora le sue fonti. L'esigenza di trovare la
Diana è dunque svanita, ma
non il suo ricordo e il suo mito.
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3 -
I MISTERI DEL
SOTTOSUOLO SENESE
a il sottosuolo
di Siena non racchiude solo il segreto della
Diana.
Si narra infatti che, all'epoca in cui si costruivano
i bottini, capitava che gli operai adibiti al lavoro
sotterraneo, detti «guerchi», fuggissero dai
cunicoli, spaventati per aver visto alcune creature
che si annidavano nelle profondità della terra.
I guerchi affermavano di aver incontrato, nel
sottuosolo senese, due specie di creature,
gli omiccioli e i
fuggisoli.
Gli
omiccioli erano degli ometti, simili a folletti, che
però non facevano dispetti. Si limitavano a ballare ed a
mettere allegria. Diversamente, le creature chiamate
fuggisoli apparivano come lampi di luce improvvisi e
repentini.
I maligni spiegavano
queste strane apparizioni col fatto che i guerchi venivano
pagati in vino. Non bisogna però dimenticare che i guerchi
trascorrevano molto tempo nei meandri angusti e bui dei
bottini senesi, impegnati in un lavoro impegnativi e
pericoloso, e non erano pochi coloro che perdevano la vita in
quei cunicoli oscuri, a volte senza nemmeno che fosse
possibile recuperarne il corpo. Ancora oggi nei bottini si
trovano molte statuette della Madonna in terracotta,
murate nelle pareti, e molte croci, a volte solo incise con il
piccone sulla roccia friabile. Come per richiedere la
protezione di chi sta in cielo laggiù, dentro la terra.
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I -
SIENA: UN MITO...
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Il monumento della lupa in una via di Siena.
La
tradizione popolare vede
Senio e
Aschio nei
due gemelli allattati dalla lupa. |
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Il mito della
fondazione di Siena si è originato nel XIII
secolo e sviluppato nei sec. XV-XVI. È da
attribuire, nella forma più completa, ad
Agostino Patrizi,
vescovo di Pienza e Montalcino e nobile senese,
in epoca rinascimentale.
Il
suo scopo, come in altre leggende analoghe, è
sia quello di glorificare la città sia quello,
un po' più spicciolo, di fornire una sorta di
spiegazione mitica sull'origine della stessa,
del suo nome e dei suoi simboli tradizionali.
Vediamolo nel
dettaglio.
Innanzitutto il
nome della città, Siena, che viene fatto risalire all'eroe
fondatore, o meglio ad uno dei due,
Senio.
Un eroe eponimo, esattamente come Romolo, che del resto era
suo zio. A ricordo si ciò, la parte alta e più antica della
città, è chiamata Castelvecchio, un riferimento alla presenza
di un antico fortilizio, che sarebbe stato, nell'immaginario
di chi elaborò la leggenda, il forte fondato da
Senio
e
dunque il primo nucleo della città.
Un'altra leggenda
fa derivare il nome da un
nobile egiziano Felice Senio o
Sene, che, al tempo di Ottaviano
Augusto, sarebbe passato per il luogo e avrebbe dato in sposa
sua figlia, Sena, ad un nobile
romano del posto.
Altro particolare
interessante sono i condottieri inviati da Romolo:
Camelio
(o Camillo) e
Montorio (o
Montonio). I due avrebbero fatto costruire dei
fortilizi e i loro nomi sarebbero rimasti impressi nella
toponomastica stessa della città. Questo discorso vale
soprattutto per Camelio/Camillo,
in quanto una zona, uno dei terzi in cui è divisa la città, è
denominato Camollia (si legga camollìa). Un nome
singolare sulla cui origine ci sono ipotesi ma nessuna
certezza, ma che assomiglia a Camelio/Camillo
(o forse è Camelio che assomiglia
a Camollia...).
Diverso è il caso Montorio. Egli
avrebbe costruito il proprio castello in una zona poi chiamata
Camporegio, sempre nella zona nord della città. Tuttavia,
nella parte sud della città, quindi relativamente distante da
Camporegio, c'è la zona di Val di Montone, un'area verde sita
entro le mura cittadine dalla
quale prende nome la contrada omonima, e la tradizione dice
che «Montone» venga da Montorio
(significativamente detto anche Montonio),
che lì avrebbe edificato il suo forte.
Il mito, inoltre,
spiega l'origine dei simboli senesi, quali la «Balzana» e la
lupa senese (del tutto simile a quella romana tranne che per
la posizione della testa: la lupa senese guarda davanti a sé,
la lupa romana tiene il capo piegato da una parte).
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Il tradizionale vessillo di Siena,
detto la «Balzana», è divisa in
orizzontale in due, la parte in
alto è bianca, quella in basso
nera. Colori che si ritrovano nella
leggenda in ben due occasioni. I
due cavalli forniti da Apollo per
far fuggire i due figli di Remo
sono infatti uno bianco ed uno nero
e i due pennacchi di fumo che si
levano durante il sacrificio che
stabilisce la pace sono ancora una
volta l'uno bianco e l'altro nero.
C'è da dire che questo simbolo fu
adottato da Siena abbastanza tardi,
si parla degli inizi del Trecento e
che, quindi, non faceva parte delle
più antiche tradizioni cittadine.
Anche la lupa che allatta due
gemelli rimanda, inutile a dirsi,
alla città eterna.
Come abbiamo visto, una
variante della leggenda afferma che
i due figli di Remo, nel fuggire da
Roma, rubarono una lupa marmorea e
la portarono nel luogo dove
fondarono la nuova città. Una
ragione in più per adottare la lupa
come simbolo come simbolo. Oltre a
questo, bisogna anche dire che una
certa consuetudine popolare
identifica gli stessi
Senio ed
Aschio con i due gemelli
raffigurati nella lupa senese.
Un'ulteriore variante, questa volta
popolare, dato che non compare
nelle versioni ufficiali della
leggenda. |
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La Balzana è la bandiera di Siena. I colori
bianco e nero rimandano sia al manto dei
cavalli di Aschio e Senio, sia al colore
assunto dal
fumo dei sacrifici nella vicenda della fondazione della
città. |
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II -
...MA CON UNA RADICE DI VERITÀ
Come si è potuto
vedere tutto combacia alla perfezione o quasi: a tutta una
serie di particolari, apparentemente senza una spiegazione
razionale, viene trovata una giustificazione mitologica e
leggendaria. Il nome Siena deriva dunque da
Senio,
Camollia da
Camelio
e così via. Tutto torna, insomma, a patto che si creda a
questa leggenda inventata di sana pianta nel Medioevo,
naturalmente.
Ma, come sempre
accade quando si ha a che fare con le leggende, c'è una radice
di verità: Siena è una città romana e, prima di esser romana,
fu etrusca. Questo a dispetto di chi, come il commentatore
fiorentino del '300, Giovanni Villani, le attribuiva
un'origine addirittura gallica e, dunque, barbara, secondo la
sua ottica. Secondo lui (che non fu mai benevolo verso
Siena
), fu
Brenno,
re dei Galli Senoni, che invase l'Etruria, a fondare la città,
lasciandovi gli uomini invalidi e feriti del suo esercito,
mentre si stava dirigendo a Roma, dove poi sarebbe stato
respinto dai Romani, svegliati dalle oche del Campidoglio.
Le tombe etrusche
trovate in città, oltre ad alcune gallerie, spesso
riutilizzate nel Medioevo per i «bottini»
(l'acquedotto sotterraneo senese), e a parti di muratura dalla
fattura tipicamente etrusca ancora oggi visibili, indicano che
gli Etruschi già dal IV secolo a.C. erano stanziati in questi
luoghi.
Fonti antiche ed epigrafi
testimoniano poi la romanità di Siena (in latino Sæna
Iulia), che ottenne la cittadinanza romana nel 90 a.C.,
con la Lex Iulia. Tacito, nel IV libro
delle Storie, narra un
episodio abbastanza curioso. Al tempo di Vespasiano, un
senatore romano, Manlio Patruito, durante una visita
ufficiale, fu malmenato e ridicolizzato addirittura con la
messinscena di un finto funerale.
Manlius Patruitus senator pulsatum se in
colonia Seniensi coetu multitudinis et iussu
magistratuum querebatur; nec finem iniuriae
hic stetisse: planctum et lamenta et
supremorum imaginem praesenti sibi
circumdata cum contumeliis ac probris, quae
in senatum universum iacerentur. vocati qui
arguebantur, et cognita causa in convictos
vindicatum, additumque senatus consultum quo
Seniensium plebes modestiae admoneretur. |
Il senatore Manlio Patriuto si lamentava di essere
stato percosso nella colonia senese durante un
tumulto popolare e per ordine di quei magistrati; né
l'oltraggio s'era fermato lì: la plebaglia aveva
inscenato intorno a lui vivo una ostentazione di
grida e di lamenti funebri, una parodia di funerale
tra contumelie e insulti che colpivano l'intero
senato. Citati in giudizio gli indiziati e istruito
il processo, furono puniti i responsabili e fu
aggiunto un decreto del senato per il quale si
ammoniva la plebe dei Senesi alla moderazione |
Tacito:
Storie [IV: 45]
(Traduzione di Enzio Cetrangolo) |
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Il senato romano richiamò
all'ordine la popolazione e punì i responsabili, ma questo
fatto la dice lunga sul carattere scherzoso e irriverente dei
senesi di un tempo. Un'indole mantenuta immutata
ancora oggi.
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III -
LA LEGGENDA DELLA DIANA
Siena e l'acqua. Un problema con
cui la città ha dovuto fare i conti per secoli.
Siena e il sottosuolo. Un intrico di cunicoli e canali lungo
quasi 25 chilometri che ha risolto il problema dell'acqua: i
«bottini».
L'importanza strategica dei
bottini per la città di Siena è stata grandissima. Almeno due
volte fu progettato di entrare in città attraverso di essi. Un
primo tentativo si ebbe nel 1554 da parte dei soldati
imperiali di Carlo V di prendere la città per questa via, ma
fu sventato per un soffio, mentre nel giugno del 1944, in
tempi assai più vicini a noi, i partigiani avevano progettato
di liberare la città dalla guarnigione tedesca entrando per
questa via.
Lo stesso imperatore Carlo V,
durante la visita alla città, siamo nel 1536, pare che abbia
affermato che la città sotterranea fosse più bella di quella
alla luce del sole. E in effetti, i bottini, con le loro
gallerie percorse da canali e punteggiate da concrezioni di
calcio, da stalattiti e da stalagmiti, sono una meraviglia
d'ingegneria umana e una meraviglia della natura. E ancora
oggi funzionano, alimentando le fonti senesi, anche se un
altro acquedotto, più moderno, porta l'acqua alle case, e sono
anche visitabili.
Ma il sottosuolo di Siena
nasconderebbe ben altro.
Qualcosa, un miraggio, dirà poi
la storia, aveva fatto intuire che la risoluzione del problema
era sotto la città, a portata di mano, e che non c'era la
necessità di scavare tutte quelle gallerie o di riutilizzare
quelle già esistenti.
Tu li vedrai
tra quella gente vana
che spera in Talamone, e perderagli
più di speranza ch'a trovar la Diana;
ma più vi perderanno li ammiragli. |
Dante:
Commedia > Purgatorio [XIII:
151-154]
(Traduzione di Enzio Cetrangolo) |
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Chi parla è Sapìa e chi scrive è
Dante. Siamo al tredicesimo canto del
Purgatorio. Un'eco di questo miraggio fissato
per sempre nella Divina Commedia.
È il segno che la storia è
arrivata fino a Dante. È
il segno che la credenza era diventata forse una sorta di
ossessione... tanto da suscitare la derisione da parte del
poeta fiorentino, per bocca di una nobildonna senese.
Le prime testimonianze di
gallerie da usarsi per l'approvvigionamento idrico sono del
394 d.C.. Tuttavia, i grandi lavori di ricerca di falde
acquifere relativamente lontane e di canalizzazione di esse
verso la città attraverso cunicoli sotterranei perlopiù
scavati nella roccia, si effettuano in Siena fra il XIII e il
XV secolo (l'attuale estensione risale sostanzialmente al
1466). Non senza progetti ambiziosi: per esempio nel 1267-1268
si parlò di deviare il corso del Merse, il corso d'acqua più
vicino alla città, verso Siena. Non se ne fece di nulla,
probabilmente anche per difficoltà tecniche, ma ciò basta a
far capire quanto il problema fosse sentito.
In questo filone si inserisce,
appunto, la storia della Diana, il mitico fiume che
scorrerebbe sotto la città e che nessuno ha mai potuto
vedere, nonostante le assidue ricerche.
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Disegno di Leonardo Conti. Clicca per
ingrandire. |
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In due punti del
centro abitato, nella zona di Porta Ovile, ma
soprattutto nella zona di Pian dei Mantellini
(attigua a questa larga strada c'è una via
chiamata, non a caso, Via della Diana) in molti
hanno sentito il caratteristico suono dello
scorrere dell'acqua, ma ovviamente non esiste
un qualcosa, almeno un qualcosa di visibile,
che lo giustifichi. Il fiume, stando alle
informazioni, passerebbe proprio in mezzo alla
città, in direzione sud-est. In altri luoghi,
ipoteticamente percorsi dalla
Diana (si veda la
mappa), non si sentirebbe il rumore dell'acqua
semplicemente perché sono zone collinari: il
suono dovrebbe quindi attraversare più terra,
disperdendosi. Questa una possibile spiegazione
al fatto che il fenomeno è localizzato in due
zone distanti e apparentemente non collegate
fra loro.
Nel 1176 i frati del Convento
del Carmine (zona di Pian dei Mantellini, la più battuta dalle
ricerche del mitico fiume) scavarono un primo pozzo nel loro
chiostro. La vena d'acqua trovata era abbondante e giustificò
altri interventi in questo senso.
Nel 1295 il Consiglio Generale
della Repubblica di Siena deliberò il proseguo dei lavori,
anche in località abbastanza lontane dalla zona interessata.
Fra il '200 e il '300, si registrarono spese continue per
pagare gli astrologi, i quali cercavano di scoprire
l'ubicazione esatta della vena d'acqua. Ma il fiume, il mitico
fiume, che molti fino ai giorni nostri hanno udito, non si
trova. Dante prende in giro i Senesi, che sperano di rendere Talamone un importante porto e di cercare appunto la
Diana,
spendendovi soldi inutilmente. Ma questo è un segno che il
mito della Diana aveva varcato i confini della città. Che,
insomma, molti credevano di poterlo trovare.
Venute meno le ricerche
ufficiali, la voce della Diana, ha forse richiamato altri
uomini, nei secoli successivi, che si sono avventurati fra le
gallerie alla sua ricerca, senza più tornare. O forse è
soltanto la fantasia di scrittori che vi hanno ricamato sopra
storie probabilmente prive di fondamento. Non ci è dato di
saperlo, per l'esigua documentazione esistente a riguardo.
Ma Via della Diana è lì e il suo
nome la dice lunga. Di recente, è stato trovato lì vicino il
pozzo che ha probabilmente dato inizio alla storia. I nonni
senesi raccontano ancora oggi di aver udito lo scroscio
dell'acqua in certe zone della città, durante la notte, quando
tutto, a quei tempi, scivolava nel silenzio e nel buio. E le
pareti delle cantine della zona tra Pian dei Mantellini e
Porta San Marco pare trasudino un'insolita, abbondante
umidità. Quella della Diana è, dunque, una leggenda che si
intreccia con la storia e con la realtà, permettendo ancora di
fantasticare e di credere nell'esistenza del mitico fiume, o
forse di sperarvi.
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Rara fotografia di un fuggisole! Macché, è
solo il riflesso del flash.
Duccio Balestracci: I bottini, acquedotti
medievali senesi, Siena 1987. |
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IV -
LE
LEGGENDE COLLEGATE AI «BOTTINI»
Narrano i
documenti dell'epoca in cui i Bottini venivano costruiti, che
molti operai che scavavano le gallerie, uscissero dai cunicoli
spaventati per aver visto alcune creature che si annidavano
nelle profondità della terra.
Gli operai che prestavano questo
tipo di servizio venivano detti «guerchi».
Non sappiamo se questo nome derivasse dal fatto che, lavorando
per molte ore nella semi-oscurità, ci vedessero poco (quindi
guerco, starebbe per «guercio»),
oppure se si impiegasse manovalanza tedesca (il termine, in
questo caso, deriverebbe dal tedesco Werk
«lavoro»).
L'unica cosa certa è che parte del compenso dato loro
consisteva in vino, il che può spiegare le loro visioni.
I guerchi, infatti, dicevano di
vedere vedevano sostanzialmente due specie di creature, gli
omiccioli e i
fuggisoli. Gli
omiccioli erano
degli ometti, simili a folletti, che non facevano dispetti,
però. Ballavano e facevano tanto ridere, invece. Diverso è il
discorso dei fuggisoli, i quali erano descritti come
lampi di luce improvvisi e repentini (la parola indicherebbe
proprio questo: una luce simile a un sole che compare per poi spegnersi
subito dopo, cioè che fugge).
Forse i fumi del vino davano
queste visioni. Può anche darsi che i
fuggisoli fossero stati
delle esalazioni di gas racchiuso nella terra, che, liberato,
produceva un lampo di luce fosforescente, simile ai fuochi
fatui. Il sottosuolo da sempre incute nell'uomo un senso di
mistero e di paura, e il vino serviva ad addormentare la
mente, esorcizzando così la paura che si provava a scendere e
a scavare nella roccia.
Sono leggende, ma a cui molti
hanno creduto. Infatti, nei bottini si trovano molte statuette
della Madonna in terracotta, murate nelle pareti, e molte
croci, a volte solo incise con il piccone sulla roccia
friabile. ma ci si può chiedere: da chi o da che cosa voleva
esser protetto chi disseminò le gallerie di statuette della
Madonna e di croci?
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Bibliografia
-
BALESTRACCI Duccio: I bottini,
acquedotti medievali senesi. Alsaba, 1987.
BILIORSI Massimo: Il mistero di Diana.
Tipografia Senese, 1981.
-
BILIORSI Massimo: Al di là di
Siena. IFI, 1988.
-
CAGLIARITANO Ubaldo: Storia di
Siena. Periccioli, 1982.
-
CATONI Giuliano:
Breve storia di Siena.
Pacini, 1999.
-
DOUGLAS Langton: Storia della
Repubblica di Siena. Multigrafica,
1969.
-
FUSAI, Luca: La storia di Siena
dalle origini al 1559. Il Leccio, 1991.
-
GIGLI Girolamo:
Diario Sanese.
Ristampa anastatica: A. Forni, 1974.
-
TACITO Cornelio (a cura di Enzio Cetrangolo):
Tutte le opere. Sansoni, 1993.
|
Ringraziamenti
La Redazione ringrazia
Leonardo Conti, per aver gentilmente fornito il
materiale relativo alle leggende senesi ed aver steso i testi
presentati in questa pagina. Uno speciale ringraziamento va a
Gabriele Clementi che, a suo tempo, effettuò
insieme all'autore alcune ricerche sulla Diana, ricerche che portarono a
rintracciare alcuni elementi che si sono rivelati importanti, se non
determinanti, nella stesura di questo testo.
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